
Premessa: è di queste ore la notizia che la nostra Sanità si sta organizzando per accogliere i bambini palestinesi bisognevoli di cure, probabilmente presso il Bambin Gesù di Roma. Tutto ciò ci riempie di gioia in quanto l’amore è il motore che mantiene la vita e l’assistenza del “fratello malato” è insita nell’aspirazione del sanitario. Detto ciò, il redazionale di oggi, passerebbe in secondo piano, se letto con pregiudizio. Mentre, al contrario, nella sintesi finale del nostro discorso è chiaro l’intento etico d’unificazione del sapere umano nel rispetto dei singoli statuti epistemologici per le finalità etiche della nostra professione!
Carlo Melodia
Filosofia della scienza ed epistemologia
Il rimedio omeopatico viene venduto senza indicazioni terapeutiche (?)
Scopriamo il perché
In questi giorni sui media ha avuto grande risonanza la domanda implicita e lecita, apparsa sui media, di un professore della medicina convenzionale che ha messo in discussione la credibilità della medicina omeopatica in quanto i “farmaci omeopatici” già regolamentati dall’AIFA, vengono venduti senza le indicazioni terapeutiche.
Detta “mancanza”, effettivamente, nella accezione comune, potrebbe essere recepita assimilabile a “terapia occulta” che è vietata esplicitamente dal codice deontologico e che quindi andrebbe immediatamente rimossa dall’AIFA in quanto verrebbero a cadere quei requisiti già affermati per i farmaci convenzionali.
Infatti, sul piano della logica metodologica convenzionale che si basa sulla “medicina dell’evidenza” o lineare, in rapporto biunivoco di sintomo, patologia e farmaco, il dubbio manifestato risulta legittimo.
Se poi l’omeopatia stessa affermasse, e lo sto facendo personalmente, che un rimedio può curare malati in diversi stati di malattia differenti e che rimedi diversi possono curare i malati portatori di una stessa malattia, come è di fatto vero, la confusione diventerebbe totale! Ma la cosa di per sé giustificherebbe l’assenza delle indicazioni terapeutiche.
Sarebbe come dire effettivamente che l’omeopatia è una “fregatura”
Ma allora come si spiega il fatto che una medicina “ascientifica” e non efficace non si sia subito esaurita dal basso, dove conta innanzitutto l’efficacia, ma anzi ha continuato ad espandersi anche in termini geografici contro ogni logica del paradigma medico convenzionale e lo fa da oltre 200 anni e la ritroviamo anche negli ospedali di Paesi in pieno sviluppo come l’India, oppure come medicina di molti privilegiati, dai monarchi inglesi, con tanto di Ospedale Pediatrico dedicato alla allora Regina madre dal1850, a quelli del Belgio, e poi medicina di riferimento di tantissime autorità delle Istituzioni nostrane che se ne avvantaggiano in modo discreto per non deviare in apparenza dal mainstream, e soprattutto è diventata la medicina più usata dai ceti meno abbienti; come avviene in Sud America dove si è insinuata anche tra gli Indios dell’Amazzonia tramite i medici missionari; quelli delle palline miracolose!?
Teoria e fatti alla ricerca di una spiegazione condivisa
Come è dunque possibile che con una impalcatura metodologica ritenuta ascientifica e inconsistente, secondo il metodo di valutazione convenzionale, fin qui adottato, il fenomeno dell’omeopatia abbia avuto questo notevole incremento costante da oltre 200 anni e non si ferma neanche di fronte alla logica del pensiero scientifico ortodosso che la rigetta e nonostante le restrizioni normative che, in un disegno più ampio e di concorrenza, aumentano costantemente con il fine, neanche tanto nascosto, di recuperare dalla parte convenzionale i cittadini fuoriusciti “dell’acqua fresca”, quasi 600 milioni di cui 130 in Europa?
Chi avversa l’omeopatia impiega per questo fine risorse infinitamente superiori alla disponibilità economica della unione omeopatica nazionale e mondiale che resiste solo perché rappresenta, con l’omeopatia, una medicina efficace e popolare, assieme ai suoi medici armati di entusiasmo, per i fatti evidenti, e sostenuti dai propri pazienti; il tutto in una bolla di negativismo imperante soprattutto in Italia!
Anche il paradosso della direttiva CE sulla agricoltura biologica
Per giunta a creare una ulteriore confusione a 360 gradi sulla omeopatia ci si mise addirittura la CE, che, con la sua direttiva comunitaria del 1999 “preferendo” omeopatici e fitoterapici per le infezioni acute e lesioni degli animali, in prima istanza creò nuova confusione alimentando il pro e il contro l’omeopatia.
Ricordiamo ancora che la Direttiva CE sulla agricoltura biologica odierna, di cui abbiamo già ampiamente parlato in precedenza sul nostro tema del giorno[2] , nell’aggiustamento del 2018 di detta direttiva, il legislatore si è mantenuto più cauto contro l’uso dei farmaci chimici citandoli per primi, in pratica rovesciando la frase, ma mantenendo lo stesso significato d’uso[3].
…e cosa dire dei medici convenzionali e delle loro famiglie che con discrezione frequentano da pazienti i nostri studi?
…e tante altre, come il riconoscimento da parte della Cassazione dell’atto medico omeopatico per i medici con i requisiti di legge.
…o che l’OMS riconosce l’omeopatia come sistema di cura non convenzionale e i medicinali di cura sono autorizzati e registrati alla vendita in molti Paesi, tra cui l’Italia…
Quindi la questione della assenza delle indicazioni terapeutiche per il farmaco omeopatico tirata fuori oggi, non è accaduta per la prima volta, visto che l’approvazione dell’AIFA data 1994 ovvero oltre 30 anni fa!?
Ma a noi, responsabili di portare il testimone di un sapere della umanità, non è dato abiurare al nostro metodo per motivi etici e la questione dell’attacco recidivante alla omeopatia è un tema che va comunque ribattuto con la logica basata sulla evidenza e quindi sui risultati clinici.
Poi ognuno tragga le conseguenze; meglio se in modo onesto e laico e secondo maieutica.
Si potrebbe sempre ritentare di spiegare il fenomeno, omeopatia, ne stiamo parlando da oltre 200 anni, con l’aforisma “contra facta non valet argumenta”.
Giustificando così l’assenza delle indicazioni terapeutiche e la supposta ascientificità e l’insussistenza della omeopatia con i 600 milioni di cittadini al mondo che la praticano?
No! No! Troppo semplice abiurare alla logica!
Però c’è un passaggio non considerato dall’interlocutore che solleva dubbi.
Qualcosa che gli sfugge.
(?) Forse sono proprio i suoi strumenti messi in campo che non gli consentono di leggere e intercettare il fenomeno dell’omeopatia
Da una parte ci sono i fatti che restano tali, dall’altra, la scienza convenzionale che non riesce a spiegarli negando l’evidenza.
Ma se rovesciassimo il capo di imputazione (?), sempre in termini scientifici (!) e passassimo l’onere della prova a chi chiede risposte a fatti evidenti che con la sua scienza non riesce a comprendere?
Allora potremmo sostenere che il problema non sta nel foglietto illustrativo mancante nella confezione del farmaco omeopatico per decidere se l’omeopatia funzioni o meno; in quanto il tutto nasce, compreso il dubbio, sul fatto che non si riesce a spiegare l’omeopatia nonostante essa sia una realtà viva.
È come se un esploratore, trovando sulla sua strada una montagna che non è indicata nella sua mappa guida, si fidasse più del riferimento cartaceo che dell’evidenza e si ostinasse a viaggiare nella stessa direzione e decidesse di fare abbattere la montagna piuttosto che aggiornare la mappa!
In realtà chi deve sciogliere il dubbio dell’omeopatia è senz’altro l’attore della domanda, se è uomo di scienza; vista la premessa che l’omeopatia è un fatto evidente che, come tale, ti fornisce lo spunto per la riflessione; la montagna dell’esploratore non può sparire solo perché non la vedo sulla mia mappa!
... e allora la domanda che deve porsi l’esploratore “attento”, di fronte all’evidenza: “ho bisogno di aggiornare la mia mappa non avendo trovato disegnata la montagna che pur esiste qui davanti a me?”. Tradotto: la mia scienza (mappa) deve fornirmi nuovi strumenti? (in tema di aggiornamento?).
Insomma, la solita rivoluzione copernicana in seno alla storia della scienza!
E poi…?
Ovvero i seguaci di ciò che si autodefinisce scienza, ammesso che questo termine abbia lo stesso significato per tutti (?) e non sia solo autoreferente, piuttosto che negare le cause dell’evidenza potrebbero allora almeno ammettere, questo sì, l’esistenza del fatto evidente che non riescono a spiegare?
Come avviene per alcune malattie e sindromi di origine sconosciuta!
D’altra parte, ci aspettiamo che chi si pone domande o dubbi su cui non trova risposte senza i soliti preconcetti, ascolti altri statuti epistemologici che spiegano la “ratio” proprio del fatto osservato, secondo metodo.
Già c’è stato un Hahnemann che ha risolto la propria visione dottrinaria con la rivisitazione di Ippocrate[4].
…e cosa dire di un Hering che ribaltò il suo paradigma di medico quando gli fu ordinato di dimostrare la truffa dell’omeopatia[5]?
O ancora delle “taglie” varie per il miglior lavoro sulla “insussistenza” dell’omeopatia[6]!
(?) Ma allora… forse … definiamo scienza genericamente e in modo semplicistico tutto ciò che osserviamo servendoci di un diaframma limitato?
L’errore allora sta proprio nel non ammettere che il diaframma di osservazione possa non solo essere allargato ma mirato a 360 gradi orizzontalmente e verticalmente, o meglio, in ogni direzione? Scoprendo, da svelare, altre dimensioni?
Forse tutto ciò si potrebbe chiamare pluralismo scientifico; se almeno ricadesse nella logica della verifica di applicazione dei suoi princìpi all’interno di un metodo?
Stiamo parlando di epistemologia
… e finalmente ci siamo arrivati speculando su questa o quella conflittualità rinchiusa nella propria rigidità di una visione che vede solo parzialmente pensando che quello sia il tutto!
Hahnemann ha già fatto la sua rivoluzione copernicana; con enormi difficoltà ma forte della sua logica; rivoluzione ancora più difficile da intercettare con i vecchi mezzi comunicativi e concettuali a disposizione!
Hahnemann ci ha lasciato e consegnato il seme dell’omeopatia che è molto resistente, ma che va comunque protetto dagli attacchi del vecchio sistema consolidato chiuso verso il “non self” specialmente se il “nuovo” che avanza, diventa un fenomeno esteso e pericoloso e maggiormente se affiora il minimo sospetto che la nuova acquisizione di conoscenza possa interferire sull’assetto socioeconomico e culturale già consolidato: come affermò il Professore Antonio Negro in conferenza presso l’ISS già nel 1985[7].
Certo che Ippocrate[8] con la visione del malato che metteva a fuoco il vitalismo, che non è una formula chimica né matematica, era avanti anni luce concettualmente rispetto all’artefatto malattia quantizzabile sullo stesso piano della chimica ma non prevedibile né eliminabile sul piano profondo delle cause soggiacenti: proprie del principio vitale (Vis medicatrix) che ci mantiene in vita individualmente!
Allora forse è la scienza, per lo meno quella attuale, a dover fare un passo avanti (o indietro?) per andare oltre il suo paradigma metodologico ristretto, ma pur sempre utilissimo nei casi acuti e complicati di malattia, e riappropriarsi e riconsiderare la medicina ippocratica che vede al centro il malato, soggetto unico, nella sua unità psico fisica e relazionale, piuttosto che nella sua sola evidenza organicista parcellare della malattia, che è tale in quanto evidenza sfuggita alla sua normalità fisiologica come effetto di cause unitarie e soggiacenti nel principio vitale[9].
Siamo giunti alla filosofia della scienza!
Rivedere tutto daccapo
Riposizionare i valori in campo
Nessuno vorrebbe rinunciare comunque all’allopatia nei casi urgentissimi e complicati.
Ma neppure negare una medicina di reale prevenzione della cronicità quale è l’omeopatia con la sua azione profonda sul principio vitale e soprattutto della sua efficacia nelle malattie acute non chirurgiche e non di emergenza.
Il campo delle opportunità del medico va quindi allargato attraverso una formazione completa che finalmente renda l’art 12 del Codice deontologico realmente applicabile!
Le LLGG al momento lo stanno purtroppo negando perché sostituiscono di fatto la scelta opportuna del sanitario in quel soggetto storico alla sua attenzione; complice l’assicurazione professionale obbligatoria!
La capacità di giudizio del Medico
Siamo giunti quindi proprio in quella dimensione in cui la filosofia orienta il pensiero del medico attraverso il dubbio della causa essenziale in termini di logica aristotelica e che nella complessità unitaria della persona diventa il fine e l’inizio della ricerca professionale.
Stiamo parlando non più di un effetto o di un sintomo localistico o nosografico da rimodulare farmacologicamente ma della ricerca della causa che soggiace all’effetto, malattia, quale giusto percorso di terapia e di guarigione consapevole.
Stiamo parlando del soggetto malato piuttosto che dell’oggetto malattia; essa non ha un metabolismo autonomo vitale se considerata disgiunta dal malato, come recita la sua nosografia, costruita con sintomi comuni e non peculiari della persona umana.
Non esistono malattie ma solo malati portatori anche di sintomi di malattia. Come insegna Hahnemann.
Ora possiamo ritornare al nostro tema centrale
La disamina precedente ci ha dato spunti di riflessione, spero, ma ancora non spiega esplicitamente la motivazione per cui il rimedio viene venduto senza indicazione terapeutica! Dimenticanza o che?
Vuoi vedere che l’AIFA che li regola ne conosce e ne rispetta il senso?
Insomma, il lettore non aspiri a risolvere la questione del rimedio senza indicazione terapeutica usando solo il percorso logico precedente; sarebbe come imboccare un vicolo cieco!
Nel frattempo, però, siamo già passati dal ragionamento lineare di funzione alterata o organo leso alla visione complessa ippocratica del malato-soggetto!
Può essere proprio il concetto di malato il punto di partenza della spiegazione? Chi pensa affermativamente alla domanda è sicuramente vicino alla soluzione logica del mistero della mancata esplicitazione delle proprietà curative di malattia del singolo rimedio!
Ritorniamo alla complessità della visione ippocratica della persona
Il discorso si sposta quindi sul piano della complessità della persona umana. Va da sé che la soggettività del malato nella sua unità riduce l’assunto di linearità del farmaco e di evidenza.
Quale evidenza?
Quella riduttiva del parametro individuato o quella complessiva del malato?
Malato e farmacodinamica
La farmacodinamica si estrinseca sul piano della chimica. Dipende dalle caratteristiche chimiche del farmaco e coinvolge i siti bersaglio di ciò che si considera alterato.
Siamo nel campo quindi della chimica della malattia e non del malato in termini di linearità ed evidenze attese!
E il malato?
Il malato, assieme alla sparizione lineare della sua patologia, secondariamente all’azione farmacologica, manifesterà risonanze generali e unitarie relative:
- 1) Alla individuale idiosincrasia
- 2) Alla farmacodinamica e alla farmacocinetica soprattutto se in presenza di altri farmaci con siti di azione in parte sovrapponibili
- 3) Allo spostamento o annullamento parziale di una manifestazione complessa e intrinseca a tutto il sistema biologico di cui la malattia è solo la manifestazione evidente di cause soggiacenti nel suo principio vitale che regola tutte le attività dell’organismo.
A questo punto abbiamo forse individuato il punto di partenza e l’errore intrinseco precedente che falsava il ragionamento!
La malattia è una costruzione artificiosa di sintomi, descritti secondo nosologia, che rappresenta non il malato ma l’osservazione precedente e statistica di gruppi di sintomi osservati in alcuni pazienti malati di una certa malattia; quali sintomi? Solo quelli comuni!
L’influenza, ad esempio, si caratterizza con sintomi comuni come l’ipertermia, le artralgie, l’impegno dell’apparato respiratorio, la spossatezza.
Tutti i malati di influenza hanno quindi questi sintomi comuni ma in aggiunta anche quelli personali.
La terapia della malattia è palliativa e avviene con farmaci in cui il loro bugiardino promette una azione evidente sui sintomi.
Ma insomma quale è la differenza tra malato e malattia?
E come lo si può curare questo malato per la sua reale necessità?
Innanzitutto, la nosografia della malattia, indicando la descrizione di sintomi osservati in precedenza. si deve adattare ad una persona nell’attualità portatrice di sintomi comuni della malattia.
Ma l’attualità nel soggetto storico osservato oltre ai sintomi comuni della nosologia in termini clinici evidenzia in aggiunta che ognuno dei sintomi, dalla febbre alle artralgie ed il resto si arricchisce di tempi, percezioni, osservazioni del medico, compresi odori e comportamenti che non si possono escludere dalla anamnesi attuale del soggetto visitato ma che però la nosografia, che si basa sul participio passato, non ha previsto il vero malato storico di influenza sia esso Carlo, Giuseppe, Anna & co. nelle sue peculiarità reattive pur nella medesima malattia diagnosticata.
Adesso ci sono! Avevamo perso di nuovo il concetto centrale: il vitalismo!
Sì!
C’è tutto scritto in Ippocrate e perfezionato da Hahnemann con la sperimentazione.
Si tratta del fatto che un metodo in medicina deve basarsi su princìpi e sul metodo di applicazione secondo epistemologia confermata da risultati[10].
Senza i princìpi e metodo si resta nell’ambito del monitoraggio del disease, del farmaco e del suo principio di azione con indicazioni e controindicazioni ed effetti collaterali più quelli indesiderati!
Sì, ci stiamo effettivamente arrivando ma ancora non è tutto!
Provo a ricapitolare
Ecco cosa mancava:
il concetto di Vis medicatrix naturae ovvero il primo assunto biologico della vita.
Il vitalismo: definito capacità della vita di adattarsi agli stimoli ambientali senza tregua, omeostasi.
La diminuzione di questa autonomia indica lo stato di sofferenza.
Di cosa?
Del principio vitale, essa si manifesta con sintomi ovvero con un cambio caratterizzato da una diminuzione di gradi di libertà.
Allora i sintomi non sono la causa ma la evidenza!?
Sì!
Il tutto è molto interessante, ma ancora manca qualcosa!
Come si arriva ad agire sul principio vitale?
Finora, non sapendo come fare, agisco con il farmaco chimico sulla evidenza di una alterazione della funzione vitale e pensavo finisse lì!
Anche perché non si può intercettare chimicamente il principio vitale a meno che il quid introdotto nell’organismo non abbia le basi patogenetiche similari ai sintomi del malato!?
Ma c’è infatti, tra i principi metodologici della omeopatia, come nella dottrina di Ippocrate, il principio di similitudine.
Esso è connesso con il vitalismo che è implicito anche nel paradigma del principio vaccinale, almeno quello di Jenner; principio poco o nulla compreso dalla scuola allopatica e che viene considerato nei tempi e nelle modalità di utilizzo quale farmaco incidendo disordinatamente proprio sulla essenza vitale e sulla personale idiosincrasia del soggetto storico[11]!
In realtà raggiungere il principio vitale non è difficile se si conoscono le proprietà delle sostanze sperimentandole sull’uomo sano e catalogando il tutto!
Il simile riconosce il simile e quindi la malattia guarisce in modo naturale e centrale agendo sulla sua causa[12]!
Allora ci siamo!
Il farmaco ha bisogno delle indicazioni terapeutiche ma il rimedio “assolutamente” no!
Esempio: le materie mediche omeopatiche riportano sia i sintomi sperimentali o proprietà o semeiotica del rimedio e sia la clinica dello stesso.
La clinica è relativa a ciò che è emerso nella sua applicazione, ovvero ciò che ha curato (participio passato) quando il rimedio è stato prescritto secondo l’epistemologia omeopatica.
Quindi i risultati della clinica sono subordinati al principio cardine della similitudine e non viceversa!
Ovvero quel rimedio ha curato la cefalea, la febbre, la colite in quanto il malato portatore aveva sintomi unitari dai mentali, generali e fisici simili ed analoghi a quel rimedio!
A questo punto, l’attore di cura e prognosi diventa il rimedio (Aconito o Belladonna).
Ovvero è lo stesso riferimento terapeutico a promettere la cura.
Quindi, non può essere una delle tante malattie la promessa di cura.
Quelle che il rimedio ha curato solo a condizione di una analogia tra i sintomi patogenetici della sperimentazione con tutti i sintomi manifestati dal malato.
Quindi solo il rimedio curerà il malato di Aconito o di Belladonna e a questo punto la scelta del rimedio diventa anche la diagnosi in omeopatia!
Indicazione del rimedio e terapeutica in omeopatia sono intrinseche.
Ho l’influenza da Aconito… da Belladonna… da Bryonia… etc
Non ha senso in omeopatia chiedere la terapia per l’influenza prima della diagnosi di rimedio.
Ecco dove stava il mistero!
Nel metodo.
Nella visione.
Una non può spiegare l’altra. La “mappa” va adattata alla ricerca che si fa.
La chimica resta alla chimica ma non può spiegare la fisica.
La chimica non spiega la causa della tachicardia emotiva.
Della salivazione nella osservazione di un cibo appetitoso.
Di una colite da ufficio.
O la reazione organica ad un semplice pensiero parassita che non avevo pensato…
La chimica può solo analizzare le modifiche chimiche… o biochimiche. Può opporsi solo a queste modifiche. Ma non può intervenire sulle cause e sul perché di quelle cause! Spesso recidivanti!
Tra colleghi capita di scambiare pazienti per un consulto. Piuttosto che fare l’elenco delle sofferenze diciamo al collega che il paziente è un Lycopodium o una Pulsatilla ecc., Immediatamente tutto ciò fornice all’omeopata l’immagine psico fisica comportamentale e patologica latente o manifesta di quel malato! Quindi la diagnosi di rimedio rispecchia in maniera più fedele il malato in quanto è unitaria.
In conclusione
L’AIFA, in termini di assenza delle indicazioni terapeutiche per i rimedi omeopatici come avviene per i farmaci chimici, ha rispettato il senso della epistemologia omeopatica che, nella visione del malato e del suo vitalismo, utilizza rimedi sempre con azione generale sul vitalismo del malato secondo il principio di similitudine, curando la malattia lamentata attraverso l’analogia del malato a quel rimedio e non viceversa. L’assenza di indicazioni terapeutiche evita anche i tentativi di un fai da te pericoloso del paziente in termini di sottrazione dalla guida clinica del medico che nell’omeopatia è metodologicamente e clinicamente molto raffinata e precisa!
Per i prodotti complessi che contengono più preparati omeopatici a varia diluizione e che non appartengono al paradigma omeopatico e di cui non seguono il costrutto epistemologico, c’è il tentativo di omologarsi farmacologicamente indicando alla “miscela complessa” una attinenza con alcune patologie già curate dal gruppo degli omeopatici miscelate. Il tutto per raggiungere il risultato terapeutico con l’utilizzo di più rimedi. Per operare sulla soppressione dei sintomi direttamente piuttosto che indirettamente sulla forza vitale del malato; in un paradigma di tipo allopatico!
Bene!
Siamo giunti al termine di questa mia “chiacchierata” volutamente semplificata su un argomento, la salute dell’uomo, di primaria importanza per tutti noi medici.
… e sono sempre più convinto che il primato della medicina stia nell’uomo, il medico, che agisce in scienza e coscienza sia esso omeopata, allopata o chirurgo.
La dottoressa A. Alma Rodriguez affermava nei pubblici consessi assieme al Professore Goffredo Sciaudone che l’omeopata è due volte medico, affermando così che, oltre alla diagnosi di rimedio, la diagnosi di malattia tradizionale non andava mai tralasciata anche in termini di indagini diagnostiche.
Invito come sempre tutti a leggere la Conferenza del professore Antonio Negro dell’85 presso l’ISS dove si parla di filosofia della Scienza e del sapere medico. Cliccando sul link di seguito potete leggere il contenuto:
https://www.luimo.org/news-luimo/un-passaggio-storico
Ai colleghi, tanti, soprattutto allopati, ricordo, infine, che la LUIMO ha nel suo gruppo di lavoro un Comitato Scientifico Interdisciplinare di docenti universitari, non omeopati, presieduto fino alla sua scomparsa dal Professore Goffredo Sciaudone, medico legale e già Presidente della Società Nazionale di Scienze Lettere e Arti in Napoli, tutto ciò premesso per invitare i colleghi allopati che lo volessero ad un dibattito culturale, non mediatico, nei tempi e nei modi concordati.
Carlo Melodia
[2] https://www.luimo.org/il-tema-del-giorno/editoriale-lomeopatia-e-acqua-fresca
[3] Recita il Reg. (CE) n. 1804/1999 del 19 luglio 1999 all’Art. 17: “…Tuttavia, gli animali, quando si ammalano o si feriscono, dovrebbero essere curati immediatamente dando la preferenza a prodotti omeopatici o fitoterapici e limitando al minimo l'uso di medicinali allopatici ottenuti per sintesi chimica; per garantire ai consumatori la qualità della produzione biologica dovrebbe essere possibile adottare misure restrittive, ad esempio raddoppiando il tempo di sospensione dopo l'utilizzazione di medicinali allopatici ottenuti per sintesi chimica”.
E, successivamente, in un aggiornamento del 30 maggio 2018 n. 2018/848 entrato in vigore il 1° gennaio 2022: "Le malattie sono trattate immediatamente per evitare sofferenze agli animali. I medicinali veterinari allopatici ottenuti per sintesi chimica, compresi gli antibiotici, possono essere utilizzati in caso di necessità, nel rispetto di condizioni rigorose e sotto la responsabilità di un veterinario, quando l’uso di prodotti omeopatici, fitoterapici e di altre terapie non è appropriato. Sono stabilite, in particolare, restrizioni relative ai cicli di trattamento e ai periodi di sospensione...".
[4] https://www.luimo.org/il-tema-del-giorno/editoriale-medicina-omeopatica-dottrina-neo-ippocratica.
[5] La storia di Hering è quella di un uomo leale che, incaricato di distruggere l’omeopatia, ne studia il metodo e, al contrario, la sua onestà intellettuale lo farà convertire alla omeopatia diventando uno dei maggiori Maestri indiscussi del metodo dei simili. Il nome Hering è quindi legato ad un evento storico che è paradossale soprattutto se il fatto viene letto alla luce della tendenza dell’uomo a seguire l’interesse più che la verità. Hering, giovane e brillante medico, ebbe una borsa di studio per indagare sulla “impostura” della Omeopatia. Questa indagine invece lo convinse, proprio al contrario, ad abbracciare l’Omeopatia e divenne uno dei maggiori Maestri del metodo omeopatico e grande amico di Hahnemann; con cui scambiava lettere di apprezzamento e di ricerca senza essersi mai conosciuti fisicamente; Hering si era trasferito da giovane negli Stati Uniti.
[6] Pag. 99 di: 1821-2021 IL BICENTENARIO DELL’ARRIVO DELLA MEDICINA OMEOPATICA A NAPOLI. L’OMEOPATIA AL TEMPO DEI BORBONE di Carlo Melodia Prima edizione: 2022 © Editore LUIMO.
[7] https://www.luimo.org/news-luimo/un-passaggio-storico.
[8] https://www.luimo.org/il-tema-del-giorno/le-radici-culturali-del-metodo-della-medicina-omeopatica.
[9] Già Thomas Sydenham, 1624-1689, considerato l’Ippocrate inglese, si rese conto dell’emergere di questa deriva scientista e richiamò i medici a “rifuggire dalle discussioni teoriche e di ritornare al buon senso pratico secondo Ippocrate. La malattia non è altro che un tentativo da parte del corpo di liberarsi dalla materia morbosa” ricordando così ai medici che la medicina è in primo luogo un’Arte con la A maiuscola che si serve della scienza, ma lo deve fare con giudizio, restando sempre fedele all’imperativo del “Primum non nocère”.
[10] https://www.luimo.org/il-tema-del-giorno/editoriale-medicina-omeopatica-dottrina-neo-ippocratica.
[11] https://www.luimo.org/il-tema-del-giorno/vaccini-e-omeopatia-paradossi-e-dintorni.
[12] https://www.luimo.org/il-tema-del-giorno/le-radici-culturali-del-metodo-della-medicina-omeopatica
https://www.luimo.org/il-tema-del-giorno/azione-dei-rimedi-omeopatici-sullorganismo-e-differenze-con-i-farmaci-convenzionali-o-allopatici.

