Il metodo “dei simili” salvò dal colera un intero Reggimento degli Svizzeri
Il periodico L’Osservatore Medico di Napoli aveva dato già nel 1801 la notizia della “cura e preservamento della scarlattina” con l’uso della Belladonna omeopatica. Nel 1821, Ferdinando I di Borbone rientrò a Napoli dal congresso di Lubiana, scortato dalle truppe austriache, i cui medici militari praticavano l’omeopatia. Matthias Marenzeller, medico capo dell’armata, era omeopata e Karl Philipp, Principe di Schwarzenberg, e feldmaresciallo austriaco, era stato paziente di Samuel Hahnemann, padre dell’Omeopatia.
Nel 1822, il Generale Franz Von Köller fece dono all’Accademia Reale delle Scienze di Napoli dell’“Organon dell’arte del guarire” e della “Materia medica omeopatica” di Hahnemann e Albert de’ Schoenberg, vi espose i principi del metodo “dei simili”. Tra i primi medici che si “convertirono” al nuovo paradigma ci furono Francesco Romani, allievo di Domenico Cotugno, Cosmo Maria de Horatiis, Direttore della Clinica Chirurgica dell’Università di Napoli, e Giuseppe Mauro. De Horatiis divenne medico del re Francesco I, dopo averlo guarito con l’omeopatia da una fastidiosa forma di angina. Il re fu il vero protettore dell’omeopatia nel Regno e Romani ne diventò il caposcuola. Tra i numerosi suoi discepoli ricordiamo il prof. Giacomo Tommassini, direttore della clinica medica di Bologna, e il dott. Sebastiano de’ Guidi, a cui il Romani curò la moglie gravemente malata. De’ Guidi portò l’Omeopatia da Napoli alla Francia. Nella zona Flegrea il dott. Giuseppe Cimone, allievo di Romani, attirò l’attenzione scientifica del dottor Giovanni Battista Quadri, famoso oculista e membro dell’Accademia Reale delle Scienze, per aver guarito tutti i pazienti a lui affidati nell’epidemia di forme pleuriche ad alta mortalità con l’uso dell’Aconito. Per la stessa patologia, la mortalità fu elevatissima tra i pazienti trattati con terapia allopatica, che consisteva nel salasso “per ridurre l’infiammazione”. L’Omeopatia a Napoli e poi nel Regno diventò medicina popolare quando il dottor Jorge Necker, medico militare austriaco, aprì un dispensario in città. Il Principe reale di Württemberg venne a Napoli e si affidò al Necker, che lo guarì. La preparazione e la distribuzione dei rimedi omeopatici vide nascere, prima a Palermo, i dispensari omeopatici. Tra i primi a Napoli il dispensario in vico Baglivo Uries, a Toledo, del dott. Sprenger, e quello della Legazione Statunitense, sempre a Toledo. Nel 1852, Rocco Rubini ottenne da Leopoldo di Borbone il nulla osta per fondare la Farmacia Omiopatica di via Chiaia, al civico 153. All’epoca, la farmacopea “allopatica” si avvaleva di farmaci soprattutto composti. Si trattava soprattutto di diaforetici, emetici, diuretici, purganti. Nel Regno delle Due Sicilie, durante le epidemie di colera e di tifo, si contavano fino a 500 medici omeopatici. Il metodo “dei simili” si dimostrò nettamente più efficace delle cure convenzionali. I documenti sulle epidemie di colera, a partire dal 1836 fino al 1855, attestano una mortalità media dell’8% con le cure omeopatiche, contro il 53% delle altre cure. All’ospedale dell’Albergo dei Poveri, dove operava Rocco Rubini, omeopata, le perdite furono prossime allo 0%. Il colonnello Eduardo Wolff, del 3° Reggimento svizzero, il 2 novembre 1855, ringraziò Rubini per l’opera gratuita con la quale salvò tutti i suoi soldati, 166, più 11 civili, gravemente ammalati di colera che furono ricoverati nel suo reparto. Mentre dei 17 militari, dello stesso reggimento, finiti nel Reale Albergo di Santa Maria della Vita e trattati con l’allopatia, 15 morirono e solo due si salvarono. Il “rimedio” usato dal Rubini fu la canfora miscelata ad alcol in proporzione di 1 kg e 1 kg, soluzione satura (Canfora Rubini). Le prove di efficacia sul campo della medicina omeopatica fecero nascere un clima da “guerra di trincea” tra “allopatisti ed omeopatisti”.
Carlo Melodia - Presidente Associazione per la Libera Università Omeopatica